unacittapervivere

Le città “smart” non si sono ancora affermate e già sembrano vecchie e non fanno più tendenza. La forte sintesi tra attualità, astuzia o intelligenza e ricchezza per connotare le città capaci di utilizzare le tecnologie per promuovere il proprio sviluppo ha peccato quasi subito per l’eccesso di riferimenti alle sole tecnologie e alle persone  e ai ceti capaci di coglierne i benefici.


Si cerca così di coniare nuove terminologie che portino a visioni antropologicamente più estese. Non si vuole perdere il valore dei beni culturali e artistici presenti nelle città. Le gallerie d’arte e i musei , le biblioteche tornano così a essere percepiti non solo come luoghi dove si possono trovare beni artistici e culturali di alto valore ma come momenti di riflessione e creazione individuale e collettiva.

Potremmo citare molti elementi che possono rendere piacevoli le città, ad esempio la facilità di raggiungere altri luoghi anche molto distanti tramite collegamenti aerei o ferroviari; la qualità della rete stradale interna ed extraurbana; le infrastrutture per le comunicazioni digitali sono oggi altrettanto importanti;  il territorio che circonda la città la renderà più interessante o meno, dovremo quindi incominciare a parlare sempre più di territorio smart più che di città smart. L’elenco potrebbe proseguire a lungo con esempi tutti altrettanto importanti e quindi potremmo convincerci della necessità di organizzare un sistema di governo e indirizzo delle città sempre più capace nell’impiego delle tecnologie.

Tutto vero, però credo che una città piacevole sia prima di tutto una città dove vivono persone piacevoli e capaci di sviluppare rapporti di collaborazione estesi in tutte le dimensioni della vita: il gioco, l’educazione, il lavoro, la creatività, la passione artistica, culturale e politica e tante altre “e” (tutte congiuntive). Una città così sarà probabilmente anche bella e ricca di memoria. Un luogo dove è piacevole vivere e che aiuta però a partire, a incontrare e ad accogliere.

Mi piace la verticalità della nuova Milano che sembra ispirarsi all’ago che cuce di Gae Aulenti, dove i quartieri più vissuti e tradizionali incontrano i grattacieli; mi piace la sua pedonalità che si è fatta ancora più intensa ma credo siano ancora pochi i luoghi dove in modo orizzontale  si possono incontrare le diverse generazioni per tornare a intessere una società a maglie sempre più strette. Sono consapevole che sto per citare solo una metafora e non una ricetta, mi piace però ricordare che lo sviluppo economico della città è stato sostenuto anche dall’inteso e altruistico lavoro di chi ha accolto ed educato molti giovani orfani a partire dal XVI secolo: Stelline e Martinitt. Oggi rimangono palazzi e istituzioni importanti e alcuni dei più importanti imprenditori italiani ma non vedo una comunità capace di proiettarsi in ogni parte del mondo, nelle strade dei Lombardi di ogni piazza economica insieme magari ai Lucchesi.

Di fronte alla stratificazione storica e sociale  delle nostre città, di fronte all’arrivo sempre più vasto di ogni popolo, di fronte allo sviluppo e alla crisi di un sempre maggior numero di piccole imprese mentre si riducono sempre di più le grandi imprese destinate negli altri sistemi economici a trainare e indirizzare lo sviluppo economico, di fronte a tanta complessità che ci siamo abituati a chiamare disordine, forse dovremo fare qualche sforzo per ottenere un poco più di ordine. Mi piace però pensare che sarebbe più interessante e piacevole se le nostre città tornassero ad essere laboratori di incontro tra i popoli e le loro culture, città capaci di sviluppare relazioni sempre più fitte e arricchenti.

Piuttosto che ridurre la complessità e la vasta articolazione sociale che ci caratterizza, sarebbe interessante se imparassimo a gestirla in modo sempre più approfondito trasformandola così in vera ricchezza sociale, culturale ed economica.

Sono queste alcune delle motivazioni che mi spingono a promuovere il “Palinsesto Geografico” del BAICR – Cultura della Relazione e al suo interno corsi di alta formazione a sostegno della valorizzazione e sviluppo delle nostre comunità cittadine o in data science. La vasta articolazione sociale e culturale delle nostre comunità è stata di esempio per secoli a tutte le civiltà che si andavano formando e può riprendere ad essere esemplare di come l’attenzione ai grandi processi evolutivi non debba porsi necessariamente in contrasto con la cura del particolare. Tutto questo senza facili illusioni: non basta rendere disponibili quantità crescenti di dati  o disporre di altrettanto grandi capacità elaborative, occorrono anche tutte le competenze necessarie per capire per quale scopo e come impiegare tutti questi dati. L’esperienza statunitense nell’impiego dei big data ben chiarisce che senza persone che abbiano capacità e gusto nell’impiego dei dati è ben difficile che questi dati si trasformino realmente nel nuovo petrolio capace di avviare grandi processi di trasformazione economica e sociale.

L’estrema articolazione dei soggetti che possono contribuire e insieme divenire fruitori di una “città delle relazioni”, la vastità e insieme la spontaneità di questi contributi non richiedono solo piani per investimenti abilitanti quali la disponibilità delle reti tecnologiche, interventi urbanistici o nuovi servizi, richiedono anche una forte e concreta capacità di autodiagnosi e monitoraggio dei fenomeni ispirati ad un alto grado di relazionalità per evitare iniziative troppo costose o invasive, lunghi processi di cambiamento per rispondere a esigenze estemporanee destinate a scomparire. Oggi relazionalità per una città, come per ogni soggetto individuale e collettivo, significa ascolto, analisi e capacità di farsi studiare o di autorappresentazione.

Quale reporting quindi per una comunità cittadina? Quale reporting per comprendere i reali ritorni per gli investimenti immobiliari? Sarebbe interessante scoprire che i maggiori e più duraturi ritorni sugli investimenti siano relativi a operazioni di ricucitura del territorio cittadino e del patrimonio immobiliare esistente piuttosto  che a iniziative di grande “verticalizzazione”. Tutto questo richiede però saper gestire i dati e le informazioni.

Articolo a cura di Lucio Fumagalli, presidente del BAICR Cultura della Relazione e docente del Master Polis Making.