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Il Palinsesto Geografico, iniziativa presentata ufficialmente dal BAICR Cultura della Relazione il 27 Giugno 2014 a Villa Celimontana, vuole essere una cornice concettuale in cui si inseriscono ricerca e percorsi formativi eterogenei. L’obiettivo è quello di creare un punto d’incontro tra cultura e tecnologia necessario alla valorizzazione dei beni materiali e immateriali dei territori.

All’interno del programma Palinsesto Geografico, il BAICR raccoglie numerosi master universitari e corsi specialistici relativi al mondo delle istituzioni culturali e territoriali ma anche delle professioni e degli operatori economici. Naturale declinazione dello spirito del Palinsesto Geografico è il concetto di albergo diffuso, modello di marketing turistico, perfettamente in linea con la tendenza alla rivalutazione della persona e delle sue relazioni.

Il modello nasce con l’intento di recupero del patrimonio culturale e sociale  dei villaggi lesionati dal terremoto del Friuli del 1976 ed è frutto del pensiero e delle opere  del poeta e scrittore Leonardo Zanier. L’obiettivo principale dell’albergo diffuso è rendere possibile l’ingresso dei turisti non solo fisicamente nelle case ma anche favorirne l’immersione nella cultura e nelle tradizioni del territorio.

Vi proponiamo un articolo a cura del prof. Lucio Fumagalli presidente del BAICR Cultura della Relazione, che racconta un viaggio emozionale alle radici del concetto di albergo diffuso nel territorio della Carnia. Gli alberghi diffusi non sono solo strutture alberghiere condivise che offrono una forma alternativa di ospitalità ma rappresentano anche l’occasione per familiarizzare con la magia di tanti nostri territori alpini e appenninici.


“Ad un amico ho confessato qualche giorno fa che non ho ancora del tutto capito perché mi piaccia questa piccola regione alpina. E’ colpa della “int” ? Della sua Gente e della loro lingua? Un friulano che raspa la pietra e il terreno per farne delle poesie? Le montagne sono importanti e i fiumi sono ricchi, pronti in breve percorso a dominare immensi greti e pianure e confondersi lentamente nel mare attraverso la laguna.

In ogni paese che sembra vuoto, nel silenzio c’è sempre un martello o una scure che batte. Un uomo solo che senza fretta lavora senza mai fermarsi per ore e ore. Incomincia con il primo sole e finisce alla sera, di fianco ha una Panda ben tenuta e un cane allegro che non ti ringhia contro ma viene a farti festa ed è affettuoso quanto severo è il suo padrone. In Carnia allevare cani è una cosa seria, come cavare pietre di dolomia per costruire muri di case o di pietra serena per fare pavimenti e portali.

“La Carnia tace” è il titolo di un lungometraggio ruvido di un giovane divenuto direttore della fotografia di molti film di Hollywood. Ha rivoluzionato le inquadrature e i ritmi. Immagini nervose e a ritmo sincopato hanno percorso il mondo ma è tra le case di pietra ed il bosco che forse ha addestrato l’occhio. Nei bar le conversazioni sono strane: con naturalezza si parla di Sidney, di Buenos Aires o Zurigo come di Comeglians o Paularo. Si sono ritrovati là cosacchi che si erano incontrati qua. “Qui comandavano loro, poi siamo tornati a comandare noi” e si organizzano incontri per capire e chiarire cosa è successo allora e cosa potrebbe succedere ora. Chi si ricorda oggi della Carnia Cosacca?

Le erbe in Carnia sono proprio tante, tanto il verde e tante le essenze, in cucina abbondano e le donne le conoscono tutte ma ne raccolgono solo poche e sempre diverse tra paese e paese, non comune e comune, ma tra un borgo e l’altro, anche a pochi sguardi di distanza. A Pradumbli, dove ci stavano e forse ci stanno ancora gli anarchici, le erbe per fare i cjarsons sono diverse da quelle di Pràt. Nei prati però democraticamente le erbe sono le stesse, infinite. In ogni luogo vi è una chiesa più che un edicola, e in ogni chiesa affreschi antichi e allegri come le loro pale e gli altari lignei, dorati e pieni di colore. I prati sono ben falciati e il bosco sta però prendendo il sopravvento. E’ la terra dell’abbassamento delle curve altimetriche e le conifere sono già predominanti sotto i trecento metri. Gente poca ma tantissimi paesi, nessuno però morto, neanche il più silenzioso. Più che case: palazzetti, tanti archi e tanti ricordi sui muri interni di fumo, spesso anche affreschi del settecento.

Tutti allevatori e contadini, tutti muratori e costruttori, tutti carpentieri e lattonieri, tutti meccanici e tanti orologiai, qualche poeta. Cramars e viaggiatori, emigranti di stagione, musicisti e tutti, proprio tutti, uomini di città. Città piccolissime ma tutte città furbissime, altro che “smart cities”. L’idea dell’Albergo diffuso nasce in un borgo di Cramars da un emigrante: poeta, costruttore di opere civili, sindacalista e formatore insieme a studiosi del Politecnico di Zurigo e oggi quest’idea si diffonde per tutta l’Italia e oltre.

Così dopo aver confessato all’amico carnico di non avere ancora capito perché la Carnia mi piaccia, amico che non si è offeso perché anche lui forse non ha ancora ben compreso perché sia tornato a vivere in Carnia,  ho deciso di tornare in Val Pesarina, e di salire in macchina fino agli stavoli di Orias. La Val Pesarina, o Canale di San Canciano, non è nota forse a nessuno ma è importante per i boschi che alimentavano l’arsenale di Venezia, per le prime case tutte di pietra della zona, per la bellezza e l’integrità dei borghi, per gli anarchici di Pradumbli, per le Dolomiti e gli altopiani, per le casere e per le strade che portano tramite la val Degano nel resto della Carnia e in Friuli, in Comelico, in Cadore, nel Sappadino e a Sauris in Val Lumiei giù poi di nuovo al Tagliamento e di nuovo tra dolomiti per la Mauria in Cadore o nelle piane del Friuli ancora tra monti sempre un po’ misteriosi, attraverso la valle Cimoliana, forse la valle più bella,  tra Claut e Cimolais, tra mestoli e strade, dighe, tragedie  e narratori. Questa è la valle Pesarina, “sconosciuta” ormai anche per gli orologi da torre e da casa, frutto forse di una galera di genovesi fatti prigionieri e portati lassù dai veneziani. Di qui si andava in Austria per il Comelico o per la Val Calda e per la Val But e quindi verso tutto il centro, il nord e l’est europeo. I “signori” però della Val Pesarina stanno ad Orias e sono 13 cugini e un capobranco. Gli stavoli di Orias controllano tutto, osservano in silenzio godendosi il sole e il panorama e digrignando i denti minacciosi quando nevica o tira vento, solo qualche volta però e nei momenti importanti.

Pietra e legno, poco cemento, nessun timore per la modernità del tutto compresa e dominata. Da li vanno a spasso per tutto il mondo e tornano quando ne hanno voglia, non vecchi né disillusi, solo per starsene lì a osservare, per ragionare senza chiacchierare troppo ma neanche troppo taciturni. Chissà quando torneranno le donne e i bambini nella “piazza principale” e quando  si potrà di nuovo bere del buon Pignolo o dello Schioppettino. Ad Orias però le donne ci stanno poco e i bambini vengono solo ad uno ad uno con il padre e non si beve vino se non si è costruito almeno un tetto.

Ci giri intorno e quegli stavoli severi, sono briganti, guardiani, filosofi, poeti e costruttori. Sono sempre gli stessi e fanno quello che gli aggrada con tutte le diverse luci del sole o nella notte con o senza la luna, con il vento e la neve o le nuvole.

Puoi scendere in città a Truia se vuoi, se non ti spaventa il traffico delle macchine e la tecnologia che urla sotto i teli blu di plastica che coprono le cataste di legno, segno di un grave consumismo che porta ad accumulare legna  sempre in eccesso. Qui puoi ritrovare la speculazione edilizia che appare dietro i rossi recinti di orti pronti a diventare pollai o fienili. La confusione degli oggetti mal disposti presso alcuni usci può disturbare e rompere il silenzio visivo di Orias, quello acustico però è sottolineato sempre dai colpi ritmati di un solo martello o di una scure intenti a cavar pietre per costruire o a spaccare legna per riscaldare.

Scusate se le foto sono troppe e il soggetto sembra sempre lo stesso ma c’è una magia diffusa e nel silenzio non ti senti mai solo; così fotografi e rifotografi, cercando di sorprendere qualcosa o di lasciare una traccia che ti spieghi perché ti piace stare in Carnia.

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