spazio urbano

Spesso ci si interroga sul perché le mostre di architettura non riscuotano da parte del grande pubblico lo stesso interesse delle mostre dedicate alle altre arti, non soltanto la pittura e la scultura ma addirittura quelle minori legate alla decorazione.
Non si comprende in particolare come l’attrazione esercitata dalla raffigurazione dell’architettura della città, strettamente vicina alle esperienze di vita dell’uomo, non sia almeno pari a quella procurata dalla percezione di un ritratto o di un paesaggio di un’ opera pittorica. Al di là del fatto che la formazione scolastica per quanto riguarda la Storia dell’Arte privilegia con riferimento alla contemporaneità l’approfondimento delle altri arti piuttosto che dell’architettura, il disinteresse per quest’ultima da parte del grande pubblico nasce soprattutto dall’incapacità delle istituzioni che governano la città di comunicare al cittadino i riflessi che ogni intervento di trasformazione urbana esercita sulla qualità del vivere.

Linguaggio per iniziati

Ci si dimentica che la qualità del vivere è strettamente legata anche allo spazio esistenziale percepito in termini di ben-essere in relazione al soddisfacimento dei bisogni non solo materiali ma anche immateriali dell’uomo. Si pensi in proposito al linguaggio per iniziati della comunicazione istituzionale che spesso accompagna la redazione degli strumenti urbanistici anche quelli più evoluti come gli attuali PGT in assenza di ausili multimediali in grado di avvicinare il cittadino alle modificazioni in atto del suo habitat, coinvolgendolo in aspetti legati al suo vivere quotidiano.

L’estraneità degli abitanti

Tale condizione di estraneità del cittadino ai temi dell’architettura della città è peraltro venuta a crescere ultimamente dal momento in cui l’architettura del gesto a opera degli archistar ha polarizzato l’interesse della comunità sul singolo oggetto edilizio, a prescindere dal suo rapporto con l’uomo oltre che dalla sua contestualizzazione all’interno del tessuto urbano, nel contempo soddisfacendo il protagonismo dei principali attori del processo edilizio (amministratori pubblici, progettisti, società del real estate, imprese di costruzione).
Si assiste così oggi nelle nostre città a un progressivo deterioramento della qualità del vivere, nel mentre l’opinione pubblica e le istituzioni vedono soprattutto nel miglioramento della qualità dei servizi pubblici e sociali la possibilità di contenere tale fenomeno.
Il motivo di tutto ciò è da ricondurre all’estraneità a tale problematica da parte dei molteplici e diffusi interessi di carattere finanziario, sottesi alla trasformazione della città e del territorio, quando è la componente dello spazio a connotare soprattutto la qualità dell’architettura. Per quanto riguarda in particolare la qualità edilizia e urbana l’approccio prevalente tende invece ancora oggi a privilegiare l’accezione oggettiva, affondando le sue origini nella cultura positivista, che nel tempo ha contribuito progressivamente a creare una spaccatura tra “res cogitans” e “res extensa”, a cui è seguita la rottura tra uomo e ambiente. Si è persa così di vista l’ottimizzazione di tutti gli aspetti interdipendenti e integrati, mentre si è affermata anche per la città la massimizzazione delle prestazioni attraverso un approccio quantitativo orientato al profitto per settori separati, quasi che la città fosse una semplice sommatoria di aree ed edifici.
Questo atteggiamento rappresenta la negazione della proprietà fondamentale dell’uomo, quella di abitare, a cui ci si deve ricondurre se si vuole recuperare la qualità del vivere. L’abitare contiene in sé, difatti, secondo quanto ha ben evidenziato Heidegger, una serie di significati esistenziali che alludono alla necessità insita nell’uomo di identificarsi con un luogo.
Dato che qualsiasi entità dentro il mondo è anche nello spazio, Heidegger considera quest’ultimo in termini di terra e cielo ossia come relazione tra luoghi concreti presenti tra cielo e terra.
Soltanto in questo scenario culturale può trovare ricetto una percezione della qualità dell’architettura della città strettamente collegata alla qualità del vivere. Di qui la convinzione che scopo dell’architettura sia proprio la creazione di luoghi come espressione di un paesaggio abitato, corrispondendo tutti ciò al “genius loci”.
Abitare significa, dunque, appartenere a un luogo in contrapposizione all’estraneità di un territorio indifferenziato.

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